Il dibattito nella Rete 2

E' dal 31 marzo 2008, quando si è tenuto il primo incontro della rete per la partecipazione, che continua il confronto tra varie realtà territoriali presenti in molti municipi della città. E' da questo primo incontro che si sono cominciati ad approfondire alcuni aspetti del lavoro sociale orientato alla facilitazione della partecipazione dei cittadini (ovvero i Quartieri Partecipati) e si è formata una redazione del sito della rete per la partecipazione (ex www.partecipazione.ning.com, oggi reteperlapartecipazione.blogspot.com). Riportiamo di seguito tutti gli elementi, gli interventi, i documenti relativi al dibattito della rete.

Parlando di Quartieri Partecipati
1) La partecipazione non è solo identificabile con i bilanci partecipativi messi in atto da molte amministrazioni, ne con le esperienze di progettazione partecipata in ambito urbano.
2) può essere interpretata ANCHE come una forma di azione progettuale in ambito sociale, che per essere efficace deve poter favorire l’ interazione sociale, la trasformazione delle relazioni umane e la ricostruzione del tessuto sociale di un territorio. In questo caso la partecipazione dovrebbe prevedere la presenza periodica e costante nel tempo sul territorio di operatori (educatori, mediatori sociali e culturali, psicologi, sociologi, ecc.) che stimolino il fare e il cooperare secondo una serie di modalità elastiche e circostanziate e secondo metodologie ispirate al lavoro di comunità, alla ricerca azione, alla mediazione sociale e dei conflitti e a forme di azione non violenta.
3) Tale presenza progettuale dovrebbe rappresentare un lavoro di prossimità e di costante costruzione della comunicazione e della collaborazione tra i cittadini e le risorse locali (scuole, centri giovanili, parrocchie, servizi, associazioni, gruppi di cittadini attivi, commercianti, ecc) che costruiscono giorno per giorno il “quartiere partecipato” rendendo il processo partecipativo inclusivo, maturo, profondo efficace e soprattutto in grado di trasformare la realtà.
4) Le forme di partecipazione che non sono in grado di ingenerare processi di cambiamento, che hanno timore di fare emergere una conflittualità sociale sana e propositiva, in grado di dialogare attivamente con le amministrazioni, sono inutili e controproducenti e, rappresentando oggettivamente tentativi di controllo sociale sulla vita del territorio, possono trasformarsi in un boomerang sia per i partecipanti che per quelle amministrazioni che la partecipazione avevano avviato.
5) Oggi a Roma non esistono progetti di intervento territoriale finanziati dalle amministrazioni con lo scopo dichiarato ed esplicito di stimolare la partecipazione delle comunità locali, ovvero di costruire - nel medio e nel lungo periodo, al di là degli interventi spot - le condizioni necessarie e sufficienti affinchè un qualsiasi cittadino possa in qualsiasi momento essere facilitato ad entrare in relazione con altri cittadini e\o con associazioni e realtà locali per affrontare e risolvere insieme problematiche comuni o solo per passare il tempo in maniera costruttiva, mettendo a disposizione della collettività (e a sua volta beneficiandone) le proprie competenze e conoscenze.
6) Esistono però una serie di progetti mirati al coinvolgimento di target di popolazione secondo modalità basate sull’empowerment (progetti rivolti ai giovani, alle comunità straniere, alla mediazione sociale, ecc.) che possono essere re-interpretati in funzione della costruzione della partecipazione comunitaria. Esistono solo nella città di Roma esempi molto interessanti di costruzione di un sistema locale di partecipazione (quartiere partecipato) a partire dalla messa in rete delle realtà e dei progetti locali o dalla semplice interazione positiva con i cittadini che hanno mirato a “fare società”; parliamo delle esperienze maturate nei quartieri di Quartaccio e di Bastogi, della “Casa delle Associazioni di San Basilio” (e più in generale della rete dei progetti del V Municipio), dell’esperienza nata a S. Palomba intorno al locale progetto di mediazione sociale. Si tratta di esperienze che sono nate da intuizioni di singoli o più attori territoriali e dall’interpretazione partecipativa del lavoro progettuale e di rete, che si è interfacciato con comitati di quartiere e scuole e con cittadini disposti a donare un po’ del loro tempo per migliorare il quotidiano. In alcuni casi questo lavoro ha incontrato la sensibilità di alcune amministrazioni locali che hanno cominciato a supportare il quartiere partecipato o le esperienze di rete, facendole divenire progetto municipale, come è accaduto in Quinto Municipio e in Nono Municipio, dove esistono progetti impostati sulla Human Security, ovvero la costruzione partecipata della sicurezza sociale dal punto di vista dei cittadini all’interno della tutela delle diritti delle minoranze, delle differenze di genere, della differenze generazionali.

Report incontro della Rete per la partecipazione del 13 febbraio 201
0.
Problematicità del rapporto tra politica e partecipazione. La “politica” (intesa come gruppi e partiti politici ma anche come eletti nelle Amministrazioni locali e centrali) e le Amministrazioni non sembrano disposti, anche se in alcuni casi vengono sostenuti o finanziati processi partecipativi (a prezzo di una intensissima – e non sempre sostenibile- attività di promozione e di sensibilizzazione da parte degli operatori) a sposare la partecipazione come cultura amministrativa che permetta ai cittadini di decidere e avere quote di potere sull’amministrazione e la gestione del proprio territorio, di decidere servizi e politiche sociali, di partecipare attivamente a tali politiche. Inoltre sembra che la partecipazione sia concepita dalle amministrazioni solo come consultazione delle persone su alcune voci di bilancio, al limite sulla gestione urbanistica di piccole porzioni di territorio, cosa molto lontana dalle intenzioni delle esperienze di partecipazione che alcuni anni orsono alcune amministrazioni avevano messo in campo. E’ stata a tal proposito ricordata l’involuzione delle pratiche partecipative sul territorio del municipio 11 e la nascita recente della Rete sociale di questo municipio. Si è più volte evidenziata la contraddizione del lavorare per restituire quote di potere ai cittadini e contemporaneamente ricevere tale mandato da amministrazioni che in realtà per loro stessa natura tendono a non cedere tale potere. Riguardo questo aspetto, si è fatto notare che se questo è vero in generale riguardo la mancanza di potere che connota i processi partecipativi gestiti direttamente dalle amministrazioni (vedi il bilancio partecipativo) esistono decine di esempi di pratiche sociali partecipative, anch’esse finanziate dalle amministrazioni, che per la loro stessa natura (le esperienze di mediazione sociale e di empowerment comunitario ad esempio, che lavorano sul livello relazionale e di potenziamento della comunità locale e della sua autonomia) restituiscono il potere decisionale alle comunità NON sulla gestione delle risorse economiche (territorio occupato dalle amministrazioni), ma su quelle risorse “povere” ed informali rappresentate delle relazioni collaborative tra cittadini, dalla decisionalità riguardo la direzione dei percorsi di cittadinanza attiva e consapevole, dallo sviluppo delle competenze individuali e collettive e quindi sulla capacità progettuale dei territori. In breve sulla costruzione dell’autonomia relazionale e progettuale della comunità locale. Una riscoperta del potere locale che, in quanto informale e senza risorse economiche, non interessa alle amministrazioni e che costituisce un cono d’ombra all’interno del quale è possibile lavorare alla sperimentazione di pratiche di democrazia diretta e di costruzione di autonomia. C’è anche da ricordare l’interesse per questo tipo di pratiche dimostrato da alcune “mosche bianche” all’interno degli apparati politico amministrativi (vedi il caso del municipio 5).
Alla ricerca di una mission. Si è affrontato il discorso delle risorse necessarie allo sviluppo di programmi partecipativi. I presenti all’incontro operano nel campo della gestione di percorsi relativi alla partecipazione propriamente detta (agenda 21 e bilancio partecipato), nella gestione di programmi improntati al lavoro di comunità e alla mediazione sociale (i vari progetti di mediazione sociale) e nella gestione di politiche giovanili (centri di aggregazione giovanili ed educativa territoriale). Progettualità differenti che rimarranno tali se si rimane ancorati alla mission istituzionale e non si crea una mission collettiva, approfondendo il discorso riguardante la partecipazione, creando un coordinamento tra i differenti progetti, un livello comune di progettualità (accedere in rete a finanziamenti e progettare insieme) il più possibile autonome, nella realizzazione, dagli interessi della committenza che spesso tende ad influenzare la realizzazione delle pratiche partecipative.
Diffusione cultura partecipazione. Quello delle fonti di finanziamento è solo una parte del problema, occorre anche definire meglio cosa intendiamo per partecipazione allargando questo dibattito oltre chi lavora in ambito partecipativo coinvolgendo associazioni di quartiere e comitati, uscendo possibilmente dai contenitori storici e statici delle dinamiche partecipative. Inoltre occorre rilanciare il percorso di confronto e di reciproca formazione tra i vari soggetti appartenenti alla rete, percorso che era già stato accennato un anno fa. Occorrono nuove parole e definizioni più articolate che sposino arricchiscano il concetto e le pratiche di partecipazione con l’esigenza di un lavoro territoriale di empowerment orientato allo sviluppo delle relazioni e del senso di appartenenza comunitario. E’ stato più volte sottolineato come lo sviluppo del senso della comunità e la partecipazione siano strettamente collegati, la partecipazione risveglia il senso di comunità e il senso di comunità genera partecipazione.
Ulteriori considerazioni metodologiche: Il tempo e lo spazio. La partecipazione è concepita spesso su un tempo limitato pur riguardando spazi molto vasti per poter immaginarne una efficacia: ad esempio il bilancio partecipato (così come è concepito attualmente) è un episodio rituale che si situa in un tempo molto limitato (poche settimane) e coinvolge un numero esiguo di testimoni privilegiati (di solito quella porzione di cittadinanza che GIA’ è disposta a partecipare) pur riguardando un’area spaziale molto estesa della città (un intero municipio) e i cui effetti teoricamente riguarderebbero migliaia di cittadini. Il tempo e lo spazio in questo caso sono inversamente proporzionali, in favore dello spazio. In realtà tale proporzione, per garantire l’efficacia del processo partecipativo andrebbe tendenzialmente rovesciata, immaginando processi dai tempi lunghi e che riguardano porzioni di territorio maggiormente localizzate. Più tempo, meno spazio, uguale più contatto con le persone e quindi più efficacia. Tali considerazioni sullo spazio ed il tempo rimandano anche all’oggetto e al soggetto della partecipazione. Nel primo approccio, quello dal minor tempo e del maggior spazio, il soggetto della partecipazione è colui che la propone, ovvero l’ amministrazione e le sue esigenze riguardanti il compito (decidere il bilancio, le opere pubbliche, ecc.). Nel secondo caso, il soggetto su cui porre attenzione sono le persone e le loro esigenze, che per essere ascoltate e per divenire attivamente protagoniste del processo partecipativo, hanno bisogno di processi partecipativi che necessitano di più tempo e di essere il più possibile localizzati e prossimi alle persone.
Il senso di comunità e la partecipazione. Il concetto di partecipazione è troppo spesso confuso con la consultazione dei cittadini da parte delle amministrazioni riguardo la gestione delle risorse e dell’ambiente. Comporta l’accento sulla azione, sul fare. Tale azione è al primo posto e offusca la relazione tra le persone reali, che poi, se si tratta di una buona relazione che costruisce scopi comuni, dovrebbe costituire la base di una azione comune che le persone hanno costruito nella relazione e che quindi sentono propria e che sono disposti a seguire nel tempo (delegando di meno agli esperti e sviluppando senso di comunità). Dotare l’azione partecipativa di una premessa, ovvero di un lavoro sulla relazione collaborativa tra le persone, e di un tempo sufficientemente lungo al consolidamento della relazione (ovvero sviluppare senso di appartenenza e di comunità) e alla definizione di obiettivi sentiti propri, darebbe alla partecipazione una certa efficacia. Infatti il focus non sarebbe solo sul fare, sull’obiettivo da raggiungere, ma anche sul come e sul quando. Ci si sentirebbe parte di una comunità partecipante che si sforza di raggiungere un obiettivo comune e che facendolo si sente bene, soddisfatta delle relazioni che sviluppa. Il senso del percorso non verrebbe solo dal conseguimento dell’obiettivo, ma dallo sviluppo di due sentire complementari: il saper essere (una comunità) e il saper fare (acquisire le competenze utili al conseguimento degli obiettivi). La partecipazione si coniuga quindi col senso di comunità. Non rappresenta più solo un compito burocratico amministrativo (il fare l’opera) ma un processo di costruzione dell’ essere comunità. Occorro nonuove parole e definizioni che sposino la partecipazione col senso di comunità e la relazione comunitaria.
Il potere e l’ibridazione.La partecipazione così come viene proposta attualmente non contempla la suddivisione o la cessione da parte delle amministrazioni, di quote di potere. Se le persone sentono di non contare e di non poter gestire quote di potere, non si lasceranno coinvolgere dai processi partecipativi. Se la partecipazione viola il suo patto iniziale, ovvero quello che vede il cittadino assumere la posizione e la responsabilità di poter determinare processi di cambiamento, perde di senso, non rispetta il patto di realizzare ciò che il cittadino è chiamato a decidere. Permane la separazione tra chi propone consulta e realizza e chi è chiamato a partecipare. Il primo, il tecnico, l’architetto, l’operatore, non diventa parte della comunità dei cittadini, rimane separato, il secondo, il cittadino destinatario della partecipazione, non assume responsabilità nel processo di cambiamento. Il cittadino non assume competenze e potere sul processo e l’amministrazione non cede potere e competenze e non si ibrida col punto di vista ed il vissuto del cittadino. In un processo realmente partecipato, avviene una cessione del potere e uno scambio reciproco di competenze: “la vecchietta è uguale all’architetto”. Avviene una sorta ibridazione dei tecnici e degli operatori, che portano le loro competenze nel territorio e le diffondono generando apprendimento tra i cittadini mentre contemporaneamente apprendono e scoprono e utilizzano le competenze locali, il saper fare dei cittadini (la scienza di quartiere). In questo scambio (che necessita di tempi medio lunghi e di localizzazione di quartiere) nascono nuove relazioni collaborative e costruttive, tra i cittadini e tra questi e gli operatori, nasce una comunità partecipante, in cui ci si deve sentire soddisfatti e non frustrati nelle aspettative: la partecipazione non deve essere il luogo dell’ostilità. La partecipazione non è episodica. Le persone e i percorsi vanno seguite nel tempo.
Le Proposte di lavoro: All’interno della rete per la partecipazione confluiscono differenti forme di lavoro orientato alla partecipazione (le esperienze di di empowerment comunitario e di mediazione sociale, il lavoro educativo con i giovani, i percorsi di bilancio partecipato, le forme di comunicazione mediatica inerenti la partecipazione, ecc.). L’esigenza emersa è quella di sviluppare maggiormente il confronto tra i vari ambiti ma anche di osservare le varie e d ulteriori esperienze di partecipazione: da quelle promosse dall’amministrazione a quelle che si generano nei territori come processi di autorganizzazione.
La prima proposta consiste nella costituzione di un osservatorio sulle politiche improntate alla partecipazione, nelle varie aree (sociale, urbanistica, sicurezza, bilancio, autorganizzazione, ecc.) che declini le esperienze in atto anche quartiere per quartiere.
La seconda proposta: Ricercare e proporre ai membri della rete progetti che possono essere declinati sulla partecipazione. Parallelamente creare forme di coordinamento tra i progetti esistenti. La ricerca di fondi dovrebbe andare oltre le amministrazioni con cui si lavora attualmente, puntando ai finanziamenti dell’Unione Europea o di fondazioni (Vodafone, ecc.) che garantirebbero una maggiore autonomia alle attività.
Terza proposta: Costruzione di una comune mission a partire dalle considerazioni metodologiche sopra elencate e con la stesura di un documento condiviso: ognuno dovrebbe scrivere o accennare alcuni punti per la costruzione di un documento condiviso. I punti da cui partire sono i seguenti: chi siamo, in che ambito ci muoviamo, il metodo e gli obiettivi.