Il dibattito nella RETE

LA PARTECIPAZIONE
La partecipazione è uno strumento democratico, per essere efficace deve poter favorire l’ interazione sociale, la trasformazione delle relazioni umane e la gestione positiva di conflitti altrimenti distruttivi per le comunità locali. Dovrebbe inoltre stimolare la relazione tra le amministrazioni e i cittadini attraverso la ricerca di nuove modalità di interazione reciproca e la formulazione di processi decisionali più ampi e articolati rispetto a quelli tradizionali.



La partecipazione può funzionare meglio se applicata secondo una serie di modalità elastiche e circostanziate che ne fanno uno strumento agevole, duttile, rendendo inclusivo, maturo, profondo efficace e soprattutto in grado di trasformare la realtà. Le forme di partecipazione che non sono in grado di ingenerare processi di cambiamento, possono infatti, alla lunga distanza, trasformarsi in un boomerang sia per i partecipanti che per quelle amministrazioni che la partecipazione avevano avviato.



La partecipazione può essere declinata secondo più punti di vista ed essere attuata secondo differenti modalità.



La prima modalità è quella veicolata dalle Amministrazioni verso la popolazione. In questo caso l’amministrazione opera coinvolgere la popolazione in processi decisionali legati ad una specificità, per esempio alla riqualificazione di un’area urbana o alla definizione del bilancio partecipato. Tali pratiche, applicate in molti esempi nella Città di Roma, hanno avuto il merito di diffondere una cultura della partecipazione, pur avendo spesso il limite di rivolgersi soltanto a quella parte della società che ha l’abitudine e l’attitudine a partecipare - il mondo della cittadinanza attiva e dell’associazionismo di quartiere.



Tuttavia la partecipazione non è solo ascrivibile, come troppo spesso si intende, all’ apertura dell’amministrazione alle proposte dei cittadini.



La seconda modalità, appartiene di solito ad organismi intermedi, quali ad esempio il privato sociale convenzionato con l’amministrazione. In questo caso la partecipazione viene utilizzata, in specifici progetti, per implementare sul territorio servizi ed attività. La partecipazione è qui interpretata simultaneamente come fine e strumento, come un modello di lavoro sociale e modus operandi orientato alla ricostruzione del legame sociale e delle relazioni tra le risorse del territorio (associazioni, comitati, scuole, Progetti pubblici, servizi), singoli e gruppi di cittadini, tra le diverse generazioni, le diverse nazionalità e tra il territorio e le Istituzioni locali. Questo è possibile stimolando la conversazione sociale, reciprocità e collaborazioni e reti tematiche.



A questo livello la partecipazione può rappresentare un metodo di empowerment (di potenziamento di persone o gruppi) inclusivo e basato sul coinvolgimento e sull’ascolto attivo dei soggetti sociali, secondo opportune metodologie. La riuscita di interventi di questo tipo è spesso collegata a quanto gli operatori riescono ad ascoltare ed interpretare il sentire del territorio, quanto il progetto si inserisce nella conversazione sociale e si lascia attraversare dai bisogni delle persone, riducendo per quanto possibile separatezze ed autoreferenzialità. In questo senso il progetto, vivendo della partecipazione degli abitanti, diviene partecipato producendo a sua volta partecipazione.



Entrambi i livelli, il primo formale perché veicolato dalle istituzioni, il secondo misto (formale\informale) poichè prevede l'utilizzo di progetti che hanno la mission di ingenerare partecipazione nel territorio, non avrebbero ragione di essere se non riconoscessero e mirassero ad includere il terzo livello, ovvero la partecipazione informale, autorganizzata ed incostante dei cittadini, basata sulla capacità delle persone di appropriarsi delle soluzioni ai propri bisogni e formato da gruppi di cittadini attivi, di anziani o di aggregazioni giovanili. Sono livelli di partecipazione spesso episodici che creano di per sé una comunità partecipante e che non vengono solitamente percepiti o narrati, ma che bisognerebbe maggiormente cogliere ed incoraggiare.



Ad ognuno di questi tre livelli - che si auspica non continuino ad esistere separatamente - la partecipazione fa parte del funzionamento di qualsiasi società umana. Tuttavia senza una spinta autoriflessiva, se non si ascolta il sentire di chi partecipa, si rischia di condurre esperienze che man mano diventano autoreferenziali fino a sfociare nel contrario della partecipazione, ovvero nella delega. Quando una persona “prende parte” ad una esperienza collettiva “sente” di stare costruendo qualcosa di importante per un obiettivo concreto. Il “senso della partecipazione”, stà proprio in questo sentire di esser parte di un gruppo, di una comunità umana, di star trasformando qualcosa. Se manca nei partecipanti questo essere a proprio agio nell’esperienza collettiva, allora bisogna chiedersi cos’è che non và.



La città di Roma ha molto sperimentato riguardo i processi di partecipazione. Si và dai programmi formalizzati nei “Contratti di quartiere”, passando per il Bilancio partecipato, fino ad esperienze progettuali di lungo periodo e di lavoro partecipato nelle comunità territoriali quali i progetti di Animazione territoriale, i programmi Mediazione Sociale, o le attività inerenti il protagonismo giovanile portati avanti da alcuni progetti di educativa territoriale. Tutte esperienze importanti sulle quali bisogna però riflettere per valutarne l’impatto e la riuscita, non tanto e non solo in termini di risultati prodotti, ma a livello di cambiamento qualitativo delle relazioni, del senso di partecipazione, della possibilità per le persone di influire e modificare l’esistente e sentire di avere la proprietà di questo processo di cambiamento.



Tale riflessione dovrebbe poi mirare a evidenziare i nodi cruciali e le problematiche irrisolte della partecipazione, di cui si accennava in precedenza, ovvero quale rapporto debba intercorrere fra le amministrazioni, il mondo del sapere professionalizzato (gli operatori sociali, gli urbanisti, i tecnici che si occupano di processi di partecipazione…ma anche gli insegnanti delle scuole, i tecnici dei servizi sociali, i politici e le organizzazioni politiche) e i mondi della vita quotidiana.



Facendo un frettoloso bilancio possiamo dire che la partecipazione ha rappresentato una pratica utilizzata a più livelli, ma che non ha saputo, o non ha avuto il tempo, di elaborare le tante esperienze, di produrre una vision metodologica condivisa, di radicarsi, comunicare, confrontarsi. La sensazione è quella di essere di fronte a più mondi scissi tra loro: quello delle esperienze partecipative\consultative strutturate dalle amministrazioni, quello delle esperienze di partecipazione come pratica metodologica a lungo periodo portate avanti dalle progettualità sui territori, e la partecipazione autorganizzata, spesso latente e discontinua, che si manifesta episodicamente all’interno del vivere sociale, dove a volte, se opportunamente stimolate, emergono le competenze e le attitudini di solito inespresse dei cittadini.



Nell’attuale conteso di “democrazia passiva” sarebbe molto importante dare spazio e prevedere le risorse per l’avvio di programmi partecipativi basati sulla mobilitazione delle risorse locali, sulle competenze dei singoli cittadini e con la nascita di beni e servizi coprogettati e gestiti con il diretto coinvolgimento delle persone a cui questi beni e servizi sono destinati. Tali programmi, potrebbero vedere l’integrazione tra associazioni locali, i cittadini attivi e quelli attivabili, gli operatori addetti a stimolare la partecipazione, le amministrazioni, reti di persone che si incontrano perché condividono le stesse esigenze e assieme risolvono i problemi comuni.



La pubblica amministrazione dovrebbe ravvisare in tali pratiche un suo proprio interesse e, certamente, potrebbe fare molto per assecondarle, renderle visibili, creare le condizioni favorevoli per il loro sviluppo, pensando ad una prospettiva di investimenti a medio e a lungo termine sulla partecipazione intesa non più e non solo come esperienza contestuale ma come sistema di welfare e come rapporto diretto con la democrazia. In questo senso, quello che esiste nel territorio municipale in termini di progettualità, reti locali, protagonismo giovanile, rappresenta una ricchezza sulla quale investire.