mercoledì 26 gennaio 2011

Sul Nuovo Piano Regolatore Sociale del Comune di Roma

Di Mario German De Luca

La prima volta che si è parlato di “Piano regolatore sociale” è stato per opera di Giacomo Panizza e Giovanni Devastato nel libro “Pensare a Rovescio” (Edizioni Comunità, 2000). Gli autori pensavano ad un’analogia con il Piano regolatore generale: si trattava della elaborazione dello“strumento” che consentisse di «attribuire a tutti diritti certi per situazioni umane e sociali che compromettono autonomie e libertà personali» e di «coinvolgere i territori nella costruzione del proprio destino, come forma di democrazia partecipata».
La programmazione sociale rischia, infatti, di concentrarsi sulle emergenze delle categorie del disagio, se si limita alla sola realizzazione di Piani di zona, centrati sull’attivazione di interventi e servizi sociali. L’analogia con il Piano regolatore generale metteva in guardia dal rischio di una programmazione tecnicistica nel settore sociale, limitata alla implementazione di attività e servizi articolati solo per categorie e prestazioni specifiche. Il Piano regolatore generale li chiama Piani attuativi. Esempi classici sono il Piano particolareggiato, il Piano per l’edilizia economica popolare, il Piano di lottizzazione, il Piano per insediamenti produttivi, il Piano di recupero. I Piani attuativi del Piano regolatore sociale avrebbero dovuto coinvolgere gli ambiti della sanità dell’istruzione, del lavoro, dell’abitare, della mobilità, della sicurezza sociale

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