domenica 20 giugno 2010

I giovani e la partecipazione

Spesso il limite di molti programmi improntati alla partecipazione - e in genere del lavoro sociale o educativo- è quello di non coinvolgere davvero i giovani. Eppure basterebbe poco...la capacità di uscire dai rituali in cui spesso scade la conversazione sociale gestita dagli adulti. La capacità di cogliere il bello delle persone e del loro ambiente. I giovani rappresentano il valore più genuino di una comunità territoriale. Riportiamo di seguito alcuni stralci di un articolo apparso su www.unacittà.it

IL BELLO DELLA CITTA'
Lo scorso maggio a Torino, presso la sede del Gruppo Abele, si è tenuto un seminario dal titolo “La città fa l’educazione, l’educazione fa la città”. Riportiamo gli interventi di Oscar Henao Mejia, Rector de la Institucíon Educativa Benjamín Herrera de Medellin (Colombia), Antonio Presti, Presidente fondazione Fiumara Arte, Catania, Joseph Rossetto, preside del College Pierre Sémard di Bobigny (Francia), Denise Calabresi, accompagnatrice sociale di adolescenti di strada, Bologna e Cesare Moreno, del progetto Chance-Maestri di strada, Napoli.

Oscar Henao Mejia, Medellin, Colombia
Sono onorato di essere qui, tra persone che danno un alto valore all’educazione e di poter condividere con voi la mia esperienza, ormai ventennale, di direttore di un una scuola di Medellin sita in un luogo molto particolare, ad elevata conflittualità...Un evento che voglio ricordare risale agli anni 1982-85..... I giovani che frequentavano la scuola .......appartenevano a bande in conflitto tra loro. Questi ragazzi erano disposti ad uccidere per poche banconote e poi c’erano tremendi riti di iniziazione: il capo poteva chiedere di uccidere il proprio amico come “prova” della capacità di assassinare, di essere dei buoni sicari.
Io sono diventato preside nel 1991.....All’inizio quando ammazzavano uno dei nostri studenti alzavamo la bandiera, alla fine decidemmo di lasciarla alzata permanentemente.....Parlando con uno dei ragazzi implicato nel traffico di droga ho presto capito che una delle cose che pativa di più era la solitudine, il non poter comunicare con nessuno. Questi giovani erano ormai autistici, sempre più l’unico linguaggio che conoscevano era quello delle armi.
A quel punto ho fatto una cosa per cui ho rischiato anche di perdere il posto. Ho preso sei docenti dell’istituto di diverse discipline, di matematica, spagnolo, inglese, geografia, che condividevano una capacità che non tutti gli insegnanti hanno, quella di saper comunicare coi loro ragazzi, ed ho detto loro: “Da domani voi non insegnate più le vostre materie. Il vostro compito da ora è quello di essere disponibili a parlare coi ragazzi”.
Bisognava creare nuovi canali di comunicazione, ma anche nuovi luoghi, assumeva importanza lo spazio cosiddetto di ricreazione in cui si poteva parlare. Abbiamo capito che il cuore del nostro progetto formativo era la comunicazione. Tutto il resto ruotava attorno a questo.
Per sviluppare queste capacità abbiamo usato diverse chiavi: la musica, la danza, il teatro, e soprattutto la letteratura e la scrittura.
Da allora i nostri ragazzi non hanno mai smesso di scrivere. Hanno pubblicato dieci libri. L’ultimo è intitolato “Parole di amore e qualcosa in più”.
La cosa straordinaria è che questi ragazzi che davvero non avevano le parole per dirlo, che vivevano il conflitto, il cui unico valore era il dollaro, sono infine riusciti ad esprimere se stessi. Con grande soddisfazione.
Ora, quando andiamo dai ragazzi che vivono in strada e gli diciamo che è importante andare a scuola non dobbiamo pensare che l’unica cosa importante sia frequentare le lezioni. In questi anni ho imparato che il luogo dove meno si apprende rischiano di essere proprio le aule scolastiche. E’ invece nella comunicazione che si impara. La scuola poi li deve aiutare a liberarsi di tutti gli ostacoli creati dal loro contesto che non permettono loro di svilupparsi, di crescere.


Antonio Presti, Catania

......a Catania ho scelto di lavorare nel quartiere di Librino. Tutti me ne parlavano male… Librino è figlio dell’idea di “città satellite”: a Catania c’è Librino, a Palermo lo Zen, a Napoli Scampia. .....
Librino è un po’ la rappresentazione della nostra periferia contemporanea. Tutto ruota attorno alla dimensione del malessere; il quartiere è “a rischio”, i bambini vanno “recuperati”, la politica prima crea scientemente questi “non-luoghi”, che sono tutti uguali, e poi si inventa il recupero. Ci sono 100.000 persone assoggettate a uno stato di necessità; siamo alla terza generazione che cresce venendo educata a chiedere. Non ci sono servizi, mancano presidi essenziali: a Librino c’è soltanto una stanza come presidio di polizia e l’unica pattuglia d’ufficio viene mandata all’aeroporto. Sembra esserci una volontà di Stato a consegnare questi luoghi al cosiddetto malaffare: spaccio di droga, armi (con la mafia), prostituzione. La politica sociale è tutta incentrata sul recupero.
Io ho scelto di partire dalle nuove generazioni e quindi dalla scuola. A Librino ci sono dieci scuole per 100.000 abitanti. Mi sono presentato con un progetto didattico......Tre anni fa i bambini hanno realizzato 500 spot pubblicitari che poi sono andati in tutte le tv locali della Sicilia; per due anni, in tutti i tg locali sono andati questi spot in cui i bambini di Librino non chiedevano aiuto, chiedevano soltanto rispetto. Dicevano: “Librino è bello”, “Io amo Librino”, eccetera. Così Librino è diventato famoso in tutta la Sicilia.

A settembre inaugureremo un’opera monumentale. Vogliamo fare di Librino uno dei più grandi musei internazionali della fotografia, del video. L’idea è di sfruttare tutte le facciate cieche dei palazzoni… Ci sono cento palazzi nel quartiere.Abbiamo già avuto le autorizzazioni e ora voglio installare delle gigantografie e delle proiezioni della bellezza spirituale degli abitanti dei vari condominii.
Penso a un vero mantra collettivo, a un rito di bellezza, dove ogni giorno in questi monoblocchi da 500 famiglie queste persone tornando a casa da un lavoro duro si vedano bellissimi. Il compito che voglio dare agli artisti è proprio quello di cogliere la bellezza di questi condòmini… cosicché nessun ragazzo debba pensare: “Sono guappo, sono a rischio”, bensì: “Sono bello”. E quando 100.000 persone, ogni giorno, mattina, pomeriggio e sera, guardandosi, riconoscendosi, affermano: “Io sono bello”, ecco questo dà diritto alla cittadinanza.....
Certo, non è facile proporre la bellezza così… perché la signora di Librino ti risponde subito che con la bellezza non si mangia. Però io credo che si possa passare anche di qui. Noi d’altra parte siamo artisti…
Lo Stato ha creato le periferie per sottomettere 100.000 voti a stato di necessità… Diciamolo chiaramente, le periferie non sono luoghi a rischio, sono luoghi creati, mantenuti, alimentati e sostenuti dallo Stato, dalla politica di destra e di sinistra… A Librino ho visto sindaci di destra e di sinistra andare a comprare voti a 30 euro, sotto forma di scheda telefonica, di patronato o di banco alimentare.
Ecco, noi vogliamo che i bambini di Librino crescendo possano votare in uno stato di democrazia, quindi in libertà. Ma questa libertà gliela dà soltanto la cultura, non gliela dà né la fogna, né il posto di lavoro perché queste operazioni rischiano soltanto di ribadire lo stato di sottomissione…
Dopo otto anni di lavoro credo si possa creare un processo concreto volto non a “recuperare” la periferia, bensì a ribaltarla. .......Mi sono presentato al carcere di Catania e ho fatto una riunione con tutti i delinquenti del 41bis -gli abbiamo portato i poeti come alibi. Con loro rispetto alla gestione del futuro museo, ho fatto un discorso molto chiaro: “Noi siamo artisti e vogliamo donare questo museo a Librino, ma non al sindaco né al presidente della Regione, perché non si può donare la bellezza a chi di fatto l’ha negata”. Se poi vogliamo parlare di mafia, c’è quella della droga, degli appalti, delle armi, ecco -ho aggiunto- io sono un “mafioso della bellezza”, e vorrei donare questo museo ai vostri figli. Insomma ora stiamo facendo fare una cooperativa ai figli dei delinquenti e proprio loro dovranno accompagnare i turisti.


Joseph Rossetto, Bobigny, Francia
Il collegio di cui sono preside è a Bobigny, nella periferia parigina, e ospita ragazzi dagli undici ai sedici anni originari di 82 paesi del mondo. ....Per lavorare in questo contesto in modo diverso noi abbiamo allora voluto costruire una scuola differente, un luogo che possa costituire una risposta a ciò che questi ragazzi chiedono.
Si chiama “scuola dell’esperienza” e la sua metodologia ci rimanda al racconto delle realtà di Medellin o di Catania che abbiamo ascoltato.

....Durante la settimana si lavora a varie cose, ma c’è una giornata dedicata specificamente al progetto che è diventato un po’ il cuore del nostro lavoro. Si intitola “Avec le mots, avec la voix, avec le corps”, cioè “con le parole, con la voce, con il corpo”. Si tratta di una ricerca centrata sulla poesia, sulla scrittura poetica, sul teatro e sulla danza contemporanea e quindi sul corpo. La scuola è aperta a ogni forma artistica, è un lavoro multidisciplinare.
Perché questa metodologia? Perché la scuola tradizionale non sa riconoscere la potenzialità degli alunni.
Ora, anche noi partiamo dalle grandi opere letterarie, artistiche, ma per andare oltre. In questo caso abbiamo scelto l’Iliade di Omero perché si presta a uno studio storico, filosofico, antropologico, letterario e anche delle mentalità. Attraverso l’Iliade abbiamo riscoperto il significato dell’onore, la morte eroica, e abbiamo rimesso al centro la parola. In pratica abbiamo fatto uno studio di livello universitario con dei ragazzi di 14 anni. Dopodiché abbiamo scritto noi un nuovo testo. Abbiamo trasformato l’Iliade in una sorta di James Bond che ripropone tutti i valori del testo antico.
Il risultato è stato uno spettacolo teatrale di un’ora che poi è stato mandato anche in video. Per realizzarlo siamo anche andati ad Atene per filmare il paesaggio e le scene.
In pratica abbiamo fatto un lavoro preliminare sul testo antico, poi l’abbiamo trasformato in un testo teatrale inedito cercando di tener saldi i valori e anche la poesia. Dopodiché siamo partiti alla volta della Grecia. Da allora ogni anno 250 ragazzi intraprendono questo viaggio.
Abbiamo prodotto anche un libro e un dvd. Il lavoro è intitolato “Che classe la mia classe” e parla proprio del percorso fatto dai ragazzi. L’abbiamo mandato anche alla tv.
Ora faremo l’Odissea. ...

Denise Calabresi, Bologna


Io opero in due quartieri alla prima periferia di Bologna. Nella zona Lame e a San Donato. Parliamo di periferie vicinissime al centro dove però i ragazzi non escono, non si avvicinano al centro, non sanno neanche bene dove sia, non conoscono le vie principali. ....
A San Donato c’è un ponte che divide il quartiere dal centro. Ebbene, loro non oltrepassano mai questi confini. Portarli in centro è un’impresa....Come gruppo preferiscono rimanere sul loro muretto. In zona Lame c’è il muretto, a San Donato sono più fortunati perché c’è il campetto da calcio. Ora, dove c’è il muretto i vicini si lamentano perché i ragazzi stanno lì coi motorini e quindi disturbano, perché la sera si fermano a chiacchierare lì sotto… Noi pensiamo si debba partire dall’ascolto e dalla responsabilizzazione. Nel percorso che abbiamo avviato sono i ragazzi a proporre le attività. Dopo un anno hanno fatto una raccolta firme, una petizione, per avere uno spazio. Il loro passatempo era infatti stare su una panchina, pioggia, neve… sempre lì.
Adesso lo spazio l’hanno avuto e questo ha in qualche modo ribaltato la situazione, tant’è che l’hanno imbiancato loro, addirittura di sabato! Mi hanno chiamato: “Denise vieni che imbianchiamo”. Ora stanno sistemando tutta l’area. Hanno un campetto sportivo che non è nemmeno a norma (i canestri sono scentrati e c’è addirittura una pianta nel mezzo), bene, ora per abbellirlo hanno deciso di fare un murales e stanno dipingendo il pavimento.
Ecco, il fatto di partecipare all’abbellimento del loro territorio è una grande chance per loro. ......
Ma altrettanto importante è coinvolgere le famiglie. E’ nato così un progetto per incoraggiare i genitori all’ascolto e alla partecipazione alla vita dei loro figli. I genitori più attivi hanno coinvolto gli altri attorno a un tavolo in cui davanti a un tè, una cioccolata, un dolce casalingo, parlano dei loro figli. ....

Cesare Moreno, Napoli
Io sono uno dei coordinatori del progetto Maestri di strada che da dieci anni si occupa di ragazzi che non vanno a scuola riportandoli in una scuola che cerca di essere diversa......
Educazione e città sono due facce della stessa medaglia: l’educazione serve a sviluppare legami e la città sono i legami. ....Il compito dell’educatore è proprio quello di riuscire a vedere ciò che è bello, pulito e buono dentro persone che normalmente sono viste appunto come brutte, sporche e cattive............Riuscire ad avere pensieri buoni significa che io mi posso ritenere buono. Ma uno che vede e che pensa solo brutture è una persona che già sta in carcere. Il termine latino captivus, significa appunto prigioniero: cattivi sono i pensieri coatti......Legalità è innanzitutto la capacità di stabilire legami, perché se io stabilisco legami diventa difficile, molto difficile, attaccare le persone a cui sono legato.......La scuola come la conosciamo oggi non è organizzata per fare questo.

Oggi è stato messo in evidenza ciò che devono fare gli insegnanti. Oscar ha detto che ha scelto un gruppo di docenti che oltre alla disciplina sapevano comunicare e gli ha dato il compito di smettere di insegnare le discipline e parlare coi ragazzi. “Al posto di fare matematica chiacchierate coi ragazzi”, ha detto loro -rischiando il licenziamento. Chiacchierare coi ragazzi viene considerata una cosa che fa perdere tempo… invece tutto quello che abbiamo sentito e visto qui dimostra che chiacchierare coi ragazzi è guadagnare tantissimo tempo, è guadagnare l’umanità dei ragazzi.

La scuola non riesce a creare lo spazio di comunicazione perché non ascolta, perché la comunicazione o è reciproca oppure non c’è. L’idea è che ci sia un sapere distribuito e che il lavoro del docente sia soprattutto quello di dare forma a questo sapere che non è il suo ma è il nostro, nasce dall’interazione e non dalla trasmissione unilaterale.
Apprendendo noi trasformiamo la nostra vita e la nostra città.

.....Le nostre autorità ci tengono nell’angolo e spesso anche noi ci adattiamo all’angolo. In realtà, ogni volta che qualcuno si occupa di emarginati e esclusi sta allargando i confini della cittadinanza, sta cambiando la qualità della vita urbana. Il sindaco di Medellin ha deciso di dedicare metà del bilancio alla scuola. Nessun gesto paragonabile abbiamo visto nelle nostre città. C’è la città verticale del cemento, della ‘skyline’ come hanno imparato a dire i cementificatori milanesi, ma prima di questa viene la città orizzontale dei legami e della dignità. Vorremmo che a questa città si dedicassero, se non i politici, almeno gli uomini di cultura e gli educatori.


PER SAPERNE DI PIU' : http://www.unacitta.it/intervista.asp?id=1721

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