domenica 20 giugno 2010

Rete per la Partecipazione: come, quando e perchè



Rete per la Partecipazione non ha una precisa data di inizio, non è stata fondata in un convegno, non ha un documento fondativo. E’ una rete. Si tratta di relazioni. Di relazioni umane e professionali.



Sono ormai molti anni infatti che alcuni di noi hanno cominciato a lavorare in Progetti finanziati dalla Pubblica Amministrazione, che avevano come motivo conduttore la partecipazione, ovvero si fondavano sull’interazione con gli abitanti di quei territori in cui i progetti si situavano, per definire strategie progettuali, obiettivi a medio termine, attività.


Si trattava - e si tratta tutt’ora - di progetti di vario tipo, progetti educativi per i giovani, progetti di mediazione sociale e dei conflitti, di animazione sociale e territoriale, di mediazione culturale. Progetti nelle scuole, laboratori teatrali, media di quartiere, sportelli informativi, ecc.


Questa esperienza si è arricchita nel fare. Nel fare si sono sviluppati successivi incontri con altri, cittadini, membri di cooperative sociali, associazioni e comitati di quartiere, operatori sociali, educatori, mediatori culturali, insegnanti delle scuole, docenti universitari, tecnici della pubblica amministrazione.


Ciò che accomunava ed accomuna queste individualità è un’attenzione e una ricerca di metodo e di pratica sociale basato sulla relazione reciproca e paritaria con le persone e le comunità locali e finalizzato all’ empowerment, al potenziamento delle individualità e delle collettività.


Produrre davvero percorsi di partecipazione nella città, che non siano semplici enunciati finalizzati al consenso politico, comporta attenzione e volontà di mettersi in discussione, specie da parte di chi opera nel campo del sociale e richiede un’attenzione molto forte alla coerenza etica, al metodo, alle strategie, alle specificità, ai tempi e alle esigenze dei singoli territori.


Nessun percorso partecipativo può essere eccessivamente standardizzato o spettacolarizzato senza perdere di efficacia. Per questo la partecipazione non può essere una moda, una notte bianca o una serie di eventi, ma solo una pratica e un percorso faticoso quanto affascinante, a volte invisibile, sotterraneo.


Spesso però proprio le Amministrazioni che finanziano i progetti richiedono quella visibilità e quella produzione di consenso che rende inevitabilmente debole la proposta progettuale.


E’ evidente che il mondo della politica preferisca altri modi, meno complessi e orizzontali, per la gestione del territorio e della conflittualità sociale.


Inoltre le politiche partecipative e le pratiche di mediazione sociale e di empowerment comunitario sono di relativa e recente introduzione nel nostro paese e la loro affermazione nella cultura del lavoro sociale necessità certamente di molto più tempo. Spesso anche da parte di chi opera si è molto, ma molto sensibili alle sirene del potere, della visibilità, della spettacolarizzazione a uso politico.


E’ anche vero che le pratiche che prevedano il coinvolgimento profondo nell’attuazione del welfare locale, per il livello di responsabilizzazione che richiedono ad amministratori e cittadini, non hanno una elevata capacità di attrazione sia per i decisori (mondo della politica e amministrazioni) che per la popolazione in genere.


Termini come mediazione, lavoro di rete, sviluppo locale, partecipazione sono concetti abusati, significano troppe cose, finendo per non significare niente. Tali concetti richiederebbero implicitamente ed esplicitamente alle istituzioni di uscire dall’autoreferenzialità, quando per loro natura sono autoreferenziali. E richiederebbero ai cittadini l’uscita da un ruolo di utenti e destinatari per assumere quello di soggetti attuatori.


In ogni caso ci sembra che manchino occasioni e luoghi di confronto metodologico e di produzione di saperi condivisi che potrebbero metter in comunicazione tra loro esperienze differenti – maturate in ambiti diversi – lavoro sociale con i giovani, nella mediazione sociale, nell’urbanistica partecipata, ecc.) e dare luogo a nuove progettualità che vedano integrarsi tra loro diverse metodologie e approcci, arricchendo tutti coloro che lavorano sul terreno della partecipazione, siano essi nelle istituzioni, nel terzo settore o nelle reti informali della società civile.


Da qui l’idea di costruire un momento di confronto cittadino, una rete di persone che comprenda operatori sociali, educatori, insegnanti, cittadini attivi, urbanisti, docenti universitari, che proponga un dibattito su una serie di metodologie, esperienze e finalità e che costruisca per la partecipazione nuove opportunità per il futuro.


Rete per la partecipazione si propone di essere questo, un luogo attraversabile di scambio e di dialogo, un laboratorio di idee, un nodo di ulteriori e più vaste reti che si vanno tessendo “camminando domandando”.

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